L'11 febbraio 2008, l'interessato - cittadino iracheno di credo islamico
sunnita, membro del partito Baath - ha presentato una domanda di asilo in Svizzera.
Nel corso delle due audizioni il medesimo ha dichiarato, in sostanza e per quanto
è qui di rilievo di essere originario di Bagdad (Iraq), di essere un ufficiale di polizia, diplomato
in legge, criminologia e letteratura inglese e di essere stato nominato Generale della sicurezza interna
e successivamente, dal (...) al (...), dopo la fine della guerra, governatore della città di C.,
governatorato di D. (Iraq). Egli sarebbe espatriato a causa delle minacce di terroristi e del rischio
costante di subire degli attentati alla propria persona in quanto sunnita. Da febbraio a ottobre (...)
si sarebbe recato a E. nei pressi di F., per poi partire alla volta della Siria a gennaio (...). A ottobre
(...) avrebbe fatto rientro in Iraq constatando che la situazione sarebbe persino peggiorata. Egli considera,
in sostanza, da un lato di essere bersaglio delle milizie sciite le quali cercherebbero di eliminare
gli esponenti del vecchio regime e dall'altro di essere ricercato dai nuovi gruppi islamisti legati ad
Al Qaida in quanto funzionario del nuovo governo iracheno. Pertanto, il (...) l'interessato congiuntamente
alla moglie avrebbe deciso di espatriare.
La moglie B. - cittadina irachena
di credo islamico sunnita, membro del partito Baath e originaria di Bagdad - a fondamento della
propria domanda di asilo ha fatto valere di essere espatriata per seguire il marito e che ad ogni buon
conto anche lei in quanto sunnita nella zona di provenienza sarebbe detestata.
Con decisione del 2 ottobre 2012, notificata ai richiedenti in data 3 ottobre
2012 (cfr. risultanze processuali), l'Ufficio federale della migrazione (UFM) ha respinto le succitate
domande di asilo, escludendo la qualità di rifugiato dell'interessato in applicazione dell'art. 1
F lett. a della Convenzione del 28 luglio 1951 sullo statuto dei rifugiati (Conv. rifugiati,
RS 0.142.30) e ritenendo le dichiarazioni della richiedente non rilevanti ai sensi dell'art. 3
della Legge sull'asilo del 26 giugno 1998 (LAsi, RS 142.31). Detto Ufficio ha pronunciato contestualmente
l'allontanamento dalla Svizzera degli interessati, rinunciando tuttavia all'esecuzione di tale misura
poiché inammissibile. L'autorità inferiore ha infine concesso l'ammissione provvisoria ai richiedenti.
Il 26 ottobre 2012, i ricorrenti hanno inoltrato ricorso dinanzi al Tribunale
amministrativo federale contro predetta decisione chiedendo, in via principale, l'annullamento della
decisione impugnata e la demanda degli atti all'autorità inferiore affinché completi l'istruttoria,
in subordine il riconoscimento della qualità di rifugiato al
ricorrente e la concessione dell'asilo. I medesimi hanno altresì presentato una domanda di assistenza
giudiziaria, nel senso della dispensa dal versamento delle spese di giustizia e del relativo anticipo.
Dai considerandi:
4.
4.1
Il Tribunale amministrativo federale osserva che, essendo i ricorrenti stati posti al beneficio
dell'ammissione provvisoria con decisione dell'UFM del 2 ottobre 2012, oggetto del litigio in questa
sede risulta pertanto essere unicamente la questione del mancato riconoscimento della qualità
di rifugiato al Signor A. e il conseguente rifiuto della sua domanda di asilo, nonché la pronuncia
dell'allontanamento.
4.2
Preliminarmente, nel caso di specie l'UFM nelle proprie motivazioni ha ammesso l'adempimento da
parte del ricorrente dei criteri previsti dalla legge per il riconoscimento della qualità di rifugiato.
L'Ufficio, nel dispositivo della decisione oggetto di ricorso, ha successivamente concluso che il ricorrente
non avrebbe la qualità di rifugiato, ciò per motivi di esclusione.
La questione principale del ricorso che ci occupa verte sull'esclusione
della qualità di rifugiato dell'insorgente in applicazione dell'art. 1 F lett. a
Conv. rifugiati, la quale, secondo il principio generale dell'« inclusion
before exclusion » (cfr. DTAF 2010/44 consid. 2), non può tuttavia fare astrazione
di un esame preliminare volto a chiarire se il richiedente adempie effettivamente le condizioni per il
riconoscimento della qualità di rifugiato ai sensi dell'art. 3 LAsi. A questo proposito,
per i motivi di cui si dirà qui di seguito (cfr. consid. 5.5), il Tribunale amministrativo
federale si esime dall'analizzare tale circostanza prendendo atto dell'incontestata valutazione fatta
dall'autorità inferiore nella propria decisione del 2 ottobre 2012 (...).
5.
5.1
Si tratta ora di esaminare se, come ritenuto dall'UFM, all'autore del gravame è effettivamente
applicabile un motivo di esclusione della qualità di rifugiato ai sensi dell'art. 53 LAsi,
segnatamente l'art. 1 F lett. a Conv. rifugiati.
5.2
5.2.1
Giusta l'art. 1 F lett. a Conv. rifugiati, le disposizioni della medesima legge,
segnatamente l'art. 1 A cpv. 2 Conv. rifugiati, il quale definisce le condizioni del riconoscimento
della qualità di rifugiato in modo analogo all'art. 3 LAsi (cfr. DTAF 2010/43 consid. 5.3.1
e relativi riferimenti), non sono applicabili in particolare alle persone nei confronti delle quali vi
siano serie ragioni di sospettare la commissione di un crimine contro la pace, un crimine di guerra o
un crimine contro l'umanità. Secondo i principi direttori sulla protezione internazionale sanciti
dall'Alto Commissariato delle Nazioni unite per i rifugiati (di seguito: ACNUR) relativamente alle clausole
di esclusione, lo scopo primario di tali disposizioni è quello di privare le persone autrici di
atti abominevoli della protezione internazionale accordata ai rifugiati e di assicurare che le persone
in questione non abusino dell'istituto dell'asilo con il proposito di evitare di essere considerati giuridicamente
responsabili dei propri atti (cfr. ACNUR, Principes directeurs sur la protection internationale: Application
des clauses d'exclusion: article 1 F de la Convention de 1951 relative au statut des réfugiés,
4 settembre 2003, HCR/GIP/03/05 par. 2 pag. 2 [di seguito: Principes directeurs du HCR
{Haut Commissariat des Nations Unies pour les réfugiés}]). In altri termini, le garanzie offerte
dalla Conv. rifugiati sono senza effetto se il richiedente l'asilo non merita la protezione accordata
ai rifugiati in ragione delle gravi infrazioni commesse (cfr. Erika Feller/Volker
Türk/Frances Nicholson, in: La protection des réfugiés en droit international,
Larcier e UNHCR [ed.], Bruxelles 2008, parte 7 II pagg. 483 segg.). Tuttavia, tenuto
conto delle gravi conseguenze che esse hanno per gli interessati, le clausole di esclusione devono essere
interpretate restrittivamente (cfr. anche Manuale sulle procedure e sui criteri per la determinazione
dello status di rifugiato, ACNUR Ginevra 1979, pag. 36).
5.2.2
In relazione all'onere della prova e al grado di prova che deve essere ritenuto, va rilevato che
i parametri della Conv. rifugiati non coincidono con i concetti abituali del diritto penale e della procedura
penale: conformemente al principio della responsabilità individuale, di regola, è sufficiente
che il richiedente l'asilo abbia contribuito in maniera sostanziale, per azione o omissione, alla commissione
di un crimine condannato dall'art. 1 F Conv. rifugiati, sapendo che il proprio atto o la propria
omissione facilitano la commissione del crimine in questione (cfr. DTAF 2010/43 consid. 5.3.2.1
pag. 609 seg. e relativi riferimenti). L'art. 25 cpv. 3 dello Statuto di Roma della Corte
penale internazionale del 17 luglio 1998 (Statuto di Roma, RS 0.312.1) stabilisce che una persona
è penalmente responsabile e può essere punita per un reato di competenza della Corte penale
internazionale, se detta persona commette il reato quale autore diretto, coautore, autore mediato o contribuisce
in ogni altra maniera alla perpetrazione o al tentativo di perpetrazione di tale reato da parte di un
gruppo di persone che agiscono di comune accordo (cfr. Philippe Currat,
Les crimes contre l'humanité dans le Statut de la Cour pénale internationale, Ginevra/Zurigo/Basilea
2006, pagg. 603 segg.). Conformemente ai principi generali del diritto, appartiene a colui
che li invoca di provare i fatti pertinenti in materia, mentre compete alle autorità di asilo, allorquando
intendono applicare una clausola di esclusione della qualità di rifugiato, o una clausola di esclusione
dell'asilo, portare la prova di atti significativi ai sensi della disposizione in questione. Per quanto
attiene al grado della prova, è sufficiente che le autorità competenti in materia di asilo
stabiliscano l'esistenza di un « serio motivo » di sospettare che un atto previsto
dalle clausole di esclusione sia effettivamente stato perpetrato (cfr. DTAF 2010/44 consid. 5.2
e relativi riferimenti). Per dimostrare l'esistenza di una fattispecie sussumibile all'art. 1 F
lett. a Conv. rifugiati, è sufficiente un grado di verosimiglianza ridotto rispetto a
quello della « probabilità preponderante » necessaria per la qualità di
rifugiato dell'art. 7 LAsi. Il « serio motivo » esige, ad ogni modo, un
sospetto chiaro ed evidente, fondato su una serie di indizi concreti, ovvero un'implicazione manifesta
e credibile rispetto ad atti passibili di esclusione. Semplici supposizioni non sono sufficienti (cfr.
DTAF 2010/43 consid. 5.3.2.4 e relativi riferimenti). Inoltre, è necessario che atti reprensibili
precisi possano essere imputati alla persona in questione (cfr. Principes directeurs du HCR, par. 18
pag. 6). La nozione di responsabilità individuale è dunque più ampia di quella di
colpa riconducibile al diritto penale. In particolare, le autorità competenti in materia di asilo
non devono provare la commissione di un crimine, come succede all'accusa nel processo penale. Parallelamente,
i principi della presunzione di innocenza, rispettivamente del beneficio del dubbio non soccorrono l'interessato.
Le autorità del Paese di accoglienza beneficiano quindi di una flessibilità che è riconducibile
all'oggetto delle loro decisioni - ad ogni modo prive di pena - ed ai limitati mezzi
istruttori di cui dispongono al fine di provare fatti avvenuti in circostanze spesso molto difficili
da stabilire. Escludendo una persona dalla qualità di rifugiato, l'autorità amministrativa
non pronuncia un verdetto di colpevolezza, ai sensi del diritto penale, di crimine contro la pace, di
crimine di guerra o di crimine contro l'umanità. Essa constata semplicemente l'esistenza di una
serie di indizi concreti che permettono di dedurre una responsabilità individuale dell'interessato,
relativa a uno o più atti passibili di esclusione (cfr. DTAF 2010/43 consid. 5.3.2.2 e relativi
riferimenti).
5.2.3
5.2.3.1
Lo Statuto di Roma fissa al proprio art. 7 la definizione di crimine contro l'umanità.
Tale disposizione indica preliminarmente il trattarsi di atti commessi nell'ambito di un esteso o sistematico
attacco contro popolazioni civili, e con la consapevolezza dell'attacco. Di seguito, vengono enumerati
gli atti in questione tra i quali l'omicidio, lo sterminio, la deportazione o trasferimento forzato della
popolazione, l'imprigionamento o altre gravi forme di privazione della libertà personale,
la tortura e altri atti inumani di analogo carattere provocanti intenzionalmente grandi sofferenze o
gravi danni all'integrità fisica o alla salute fisica o mentale (cfr. DTAF 2010/43 consid. 5.3.3.1
e relativi riferimenti). Dallo Statuto di Roma si evince che un crimine contro l'umanità è
realizzato in circostanza di una violazione grave e mirata dei diritti umani, che colpisca l'individuo
in ciò che vi è di più profondo nel suo essere, ovvero le sue convinzioni, le sue credenze
o la sua dignità. Inoltre, i crimini contro l'umanità si distinguono dalle infrazioni isolate
e dai reati di diritto comune nella misura in cui fanno parte di un attacco generalizzato e sistematico
contro la popolazione civile. In alcuni casi, ciò può essere il risultato di una politica di
persecuzione o discriminazione grave e sistematica verso un particolare gruppo nazionale, etnico,
razziale o religioso (cfr. ACNUR, Note d'information sur l'application des clauses d'exclusion: article 1 F
de la Convention de 1951 relative au statut des réfugiés, Ginevra, 4 settembre 2003, par. 36
pag. 14 [di seguito: HCR, Note d'information Convention]). Un atto inumano commesso contro una persona,
quale per esempio la tortura, può costituire un crimine contro l'umanità se fa parte di un
sistema coerente o di una successione di atti sistematici e ripetuti (cfr. anche Sentenza del 15 luglio
1999 della Camera d'appello del Tribunale penale internazionale per l'ex-Jugoslavia [di seguito:
TPIJ], Prosecutor v. Tadic,
n. IT-94-1-A, par. 271 pag. 121). Un crimine contro l'umanità deve essere perpetrato in
esecuzione del disegno politico di uno Stato o tramite un'« organizzazione diretta a realizzare
l'attacco » (cfr. art. 7 cpv. 2 lett. a Statuto di Roma) ed avente a disposizione
mezzi importanti. Lo Statuto di Roma non ritiene alcun collegamento tra crimine contro l'umanità
e conflitto armato: un crimine contro l'umanità può quindi essere commesso in tempo di pace
(cfr. DTAF 2010/43 consid. 5.3.3.2 e relativi riferimenti).
5.2.3.2
I crimini di guerra, anch'essi definiti nello Statuto di Roma (art. 8), implicano delle violazioni
gravi del diritto internazionale umanitario (diritto dei conflitti armati) e possono essere commessi
da, rispettivamente perpetrati contro, persone civili e militari. Gli attacchi commessi contro qualsiasi
persona che non partecipi più alle ostilità, come i belligeranti feriti o malati, i prigionieri
di guerra o i civili, sono considerati come crimini di guerra (cfr. HCR, Note d'information Convention,
par. 30 pag. 12). Si tratta, fra gli altri, di atti posti in essere contro persone e beni protetti
dalle norme delle Convenzioni di Ginevra del 12 agosto 1949 (CG; Convenzione di Ginevra del 12 agosto
1949 per migliorare la sorte dei feriti e dei malati delle forze armate in campagna [CG I, RS 0.518.12];
Convenzione di Ginevra del 12 agosto 1949 per migliorare la sorte dei feriti, dei malati e dei naufraghi
delle forze armate di mare [CG II, RS 0.518.23]; Convenzione di Ginevra del 12 agosto 1949
relativa al trattamento dei prigionieri di guerra [CG III, RS 0.518.42]; Convenzione di Ginevra
del 12 agosto 1949 per la protezione delle persone civili in tempo di guerra [CG IV, RS 0.518.51]),
quali l'omicidio volontario, la tortura o trattamenti inumani, la privazione del diritto ad un equo e
regolare processo. Tali crimini possono essere commessi anche durante conflitti armati che non presentano
un carattere internazionale, come dimostrano la giurisprudenza del TPIJ e lo stesso Statuto di Roma (cfr.
art. 8 cpv. 2 lett. d e art. 8 cpv. 2 lett. f Statuto di Roma). Determinare
l'esistenza di un conflitto armato a carattere non internazionale è tuttavia più complesso.
Nel caso Tadic, il TPIJ
ha ritenuto che un conflitto armato a carattere non internazionale, nel contesto dell'art. 3 comune
alle quattro CG, nonché dagli art. 4 cpv. 2 e art. 17 del Protocollo aggiuntivo dell'8 giugno
1977 alle CG relativo alla protezione delle vittime dei conflitti armati non internazionali (PA II, RS
0.518.522), esiste in presenza di violenza armata prolungata tra forze armate governative e gruppi armati
organizzati o tra tali gruppi (cfr. Camera d'appello del TPIJ, Prosecutor
v. Tadic, Decision on the Defence Motion for Interlocutory Appeal on Jurisdiction, IT-94-1-AR72,
del 2 ottobre 1995, par. 80 segg.; cfr. anche FF 2008 3293, spec. pagg. 3362 seg.
e relativi riferimenti; sentenza del Tribunale amministrativo federale D 7856/2010 del 20 giugno
2012 consid. 7.2.3.2).
5.3
Nella fattispecie, conviene analizzare la pertinenza della norma di esclusione dell'art. 1 F
lett. a Conv. rifugiati, considerato il contesto storico e la funzione statale del ricorrente (cfr.
sulla nozione Currat, op. cit., pag. 595).
Il Tribunale amministrativo federale ha già avuto modo di occuparsi
delle violazioni dei diritti umani e le repressioni di qualsiasi forma di opposizione perpetrate durante
il regime di Saddam Hussein (cfr. DTAF 2010/43 consid. 5.3.4.1). È indubbio che nel periodo
succitato venissero perpetrati crimini di guerra e crimini contro l'umanità, per il che il Tribunale
amministrativo federale non mette in discussione questo punto e le considerazioni dell'UFM al proposito.
Per quanto attiene nello specifico al ruolo ricoperto dal ricorrente in
questo contesto, va ritenuto che egli ha un diploma in diritto, ha raggiunto il grado di generale della
Sicurezza interna ed ha svolto le funzioni di capo polizia a H. prima, dal (...) all'ottobre (...),
e quella di governatore di C. poi, dal gennaio (...) al febbraio (...).
Dalla fase istruttoria condotta dall'UFM, a mente di questo Tribunale, non
sono stati tuttavia evidenziati gli elementi essenziali connessi all'agire personale del ricorrente nel
contesto del regime. In sostanza, le audizioni si sono orientate unicamente all'accertamento della qualità
di rifugiato ai sensi degli art. 3 e 7 LAsi. Sebbene durante l'audizione federale dell'8 aprile
2008, il ricorrente abbia illustrato il proprio iter professionale (...), in generale non emergono
dai verbali sufficienti elementi circa le sue mansioni per dedurne una responsabilità individuale,
ai sensi della dottrina e della giurisprudenza sopraccitata, nella commissione degli atti enumerati
dalla norma applicata alla presente fattispecie. In altre parole, non è chiaro quale fosse il ruolo
della polizia, e l'esatta mansione del ricorrente in questa, a quel momento e nella città di H.
Ad oggi, dai verbali e per quanto attiene alla funzione svolta tra il (...) e il (...), emerge
unicamente un vago accenno circa i compiti di sorveglianza del ricorrente, senza che questi siano stati
sufficientemente esemplificati (...). Resta da stabilire nel dettaglio quali fossero gli atti perseguibili
rientranti nelle competenze istruttorie dell'insorgente, come pure verificare effettivamente gli eventuali
accadimenti durante il (...) del (...) di cui si fa menzione in sede ricorsuale.
Si impone quindi che l'Ufficio accerti le mansioni svolte dal ricorrente
durante l'incarico a H., oltre che il ruolo, rispettivamente l'eventuale influenza, dell'insorgente all'interno
delle gerarchie del regime nel periodo in questione. Ciò va certamente contestualizzato e rapportato
al successivo mandato come governatore di C.
Non essendo stato sufficientemente circoscritto l'ambito d'attività
specifico dell'insorgente, dal punto di vista del grado di prova, l'analisi dell'UFM non va oltre
la soglia della « semplice supposizione » (cfr. DTAF 2010/43 consid. 5.3.2.4
e relativi riferimenti). Del resto, la circostanza per cui il ricorrente sia stato un impiegato
statale, seppur di alto livello, da sola non porta necessariamente alla conclusione che egli fosse implicato
negli orrori del regime dell'epoca.
5.4
In virtù di tutto quanto precede, allo stato attuale degli atti, il Tribunale amministrativo
federale non è in grado di esprimere il sindacato di legittimità della decisione impugnata,
poiché, stante le premesse, sono infatti necessari ulteriori chiarimenti per accertare l'esistenza
del motivo di esclusione dalla qualità di rifugiato ai sensi dell'art. 1 F lett. a
Conv. rifugiati. In siffatte circostanze, il provvedimento litigioso, nella misura in cui decide
di escludere dalla qualità di rifugiato il ricorrente, si fonda su un accertamento inesatto ed incompleto
dei fatti giuridicamente rilevanti, tanto da incorrere nell'annullamento.
5.5
5.5.1
Quando gli atti non sono completi o comunque insufficienti per statuire sull'applicazione del
diritto federale, il Tribunale amministrativo federale può rinviare la causa, con istruzioni vincolanti,
all'autorità inferiore per nuovo giudizio (art. 61 cpv. 1 della legge federale sulla procedura
amministrativa del 20 dicembre 1968 [PA, RS 172.021]; Madeleine Camprubi,
in: Auer/Müller/Schindler (ed.), Kommentar zum Bundesgesetz über das Verwaltungsverfahren (VwVG),
Zurigo 2008, n. 1 e 7 ad art. 61; Ulrich Häfelin/Georg Müller/Felix
Uhlmann, Allgemeines Verwaltungsrecht, 5a ed.,
Zurigo/Basilea/ Ginevra 2006, n. 1977 pag. 418; cfr. sentenza del Tribunale amministrativo
federale D 6735/2006 del 25 luglio 2007 consid. 11 e relativo riferimento).